Il contesto è segnato dal persistere delle tensioni sui tassi d’interesse reali, in particolare negli Stati Uniti, causate dai messaggi più aggressivi della Federal Reserve, come pure dall’annuncio della proba-bile adozione quest’anno di una politica di quantitative tightening (riduzione del bilancio della banca centrale).
Alla fine del 2021, l’intensa volatilità dei tassi d’interesse aveva inciso sensibilmente sulle performance relative dei mercati azionari, sia a livello di fattori che di settori. Dall’inizio dell’anno, sono state interessate anche le loro performance assolute, con la volatilità dei tassi che si è unita a quella dei listini azionari, come due placche tettoniche in movimento. Negli ultimi giorni, ai timori degli investitori si è aggiunta l’escalation delle tensioni tra la Russia e l’Occidente in merito all’Ucraina. Di conseguenza, da inizio anno l’indice S&P 500 ha subito una correzione (-10%), mentre l’indice VIX1 ha toccato quota 38, un valore molto elevato. Nonostante questa fortissima avversione al rischio, i tassi americani a lungo termine continuano a salire.
La questione inflazionistica resta in sospeso
Nei primi giorni di ottobre, i mercati anticipavano un solo rialzo dei tassi da parte della Fed nel 2022. Ora ne preannunciano quattro. Sebbene non possiamo escludere che gli investitori ne prevedano di più, poiché la Fed e l’amministrazione Biden hanno optato per toni chiaramente antinflazionistici, è possibile, se non probabile, che l’adeguamento sia in gran parte avvenuto. Infatti, le anticipazioni del mercato sono pressoché in linea con le proiezioni mediane della Federal Reserve. Tuttavia, se l’inflazione non dovesse rallentare come previsto, è plausibile che la Fed sia costretta a intensificare nuovamente il ritmo della sua stretta monetaria. Riguardo alle previsioni inflazionistiche, il fatto che la Fed intenda mantenere in territorio negativo i tassi reali dei fed fund fino al 2024 suscita perplessità. Si tratta infatti di un livello anormalmente basso per “combattere” l’inflazione, tanto più che l’economia sembra già giunta alla piena occupazione. Con la riduzione delle strozzature per determinati beni che ha avuto probabilmente inizio nelle scorse settimane, intravediamo un rallentamento dell’inflazione. Tuttavia, data una crescita degli stipendi in costante accelerazione negli Stati Uniti, è troppo presto per concludere che la questione inflazionistica non tornerà a turbare il sonno della Fed e degli investitori.
Un’esperienza infelice
Il quantitative tightening che la Fed annuncia di voler attuare tra qualche mese non è di buon auspicio. Infatti, constatando la presenza di una liquidità eccessiva e condizioni finanziarie ancora molto accomodanti, è comprensibile che la banca centrale voglia evitare rialzi dei tassi troppo bruschi e ricorrere ad altri “comodi” strumenti per accelerare l’inasprimento monetario. Tuttavia, come ammesso dallo stesso istituto nel verbale dell’ultimo comitato di politica monetaria, gli effetti di un aumento dei tassi sono più gestibili rispetto a quelli di un quantitative tightening. Ricordiamo che, nell’unica esperienza al riguardo (fine 2017 - metà 2019), si è assistito a un crac borsistico nel quarto trimestre del 2018 in un contesto di contrazione mondiale della liquidità e, successivamente, a una crisi del mercato repo2 nel 2019. All’epoca, tutti i dati e le indagini inducevano però la Fed a credere che la liquidità fosse abbondante: il processo era stato gestito male e, salvo qualche nuova disposizione tecnica per controllare in maniera più efficace la liquidità, non c’è motivo di affermare che oggi vi sia una migliore comprensione dello stesso.
Sebbene la correzione sul mercato americano sia iniziata quando è stato pubblicato l’ultimo verbale della Federal Reserve, nel quale si avanzava l’ipotesi di un quantitative tightening nel corso di quest’anno, è poco probabile che, nonostante il calo, i mercati abbiano pienamente integrato le conseguenze di una riduzione della liquidità. Infatti, l’ottima tenuta esibita dal mercato del credito statunitense durante tale correzione è in contrasto con la prospettiva di una minore liquidità, scenario al quale gli spread delle obbligazioni societarie sono particolarmente sensibili. Nel 2018, gli spread di credito avevano rapidamente risentito, prima dei mercati azionari, di questa traiettoria della politica monetaria. In altre parole, il quantitative tightening resta, a nostro parere, un fattore di rischio da monitorare attentamente.
Le tensioni in Ucraina destano preoccupazione
La crisi ucraina si traduce in un incremento dei premi al rischio, con gli Stati Uniti e il Regno Unito che evocano con sempre maggiore insistenza lo spettro di un’imminente invasione. Tra le numerose questioni per gli investitori, vi è quella della dipendenza energetica dell’Europa dalla Russia in caso di sanzioni massicce contro quest’ultimo paese, sullo sfondo di forniture e prezzi già molto instabili.
I mercati azionari dovrebbero proseguire la loro ascesa
In questo contesto, manteniamo le esposizioni ai mercati azionari, poiché riteniamo che molte brutte notizie siano già scontate. Alcune settimane fa avevamo indicato di aspettarci una maggiore volatilità sulla scia della normalizzazione della politica monetaria americana, precisando che, in uno scenario di crescita sostenuta, le azioni avrebbero dovuto guadagnare ulteriore terreno, a maggior ragione se si considerano le attese relativamente modeste sull’espansione degli utili. Mentre alcuni grandi paesi pianificano la revoca delle restrizioni sanitarie e con la questione del picco dell’epidemia ormai sollevata, siamo sempre più convinti di tale quadro. Per contro, a nostro parere non è ancora il momento di rafforzare il rischio nei portafogli.
Dinanzi alle misure di allentamento della politica economica cinese e alla luce di indicatori che segnalano una lieve ripresa nel paese, rafforziamo le nostre esposizioni alle azioni cinesi. Si tratta di una strategia tattica poiché persistono molte incertezze, in particolare la sostenibilità della linea di tolleranza zero contro il Covid e l’ingerenza della sfera politica nel mondo degli affari. Tuttavia, riteniamo che, essendo l’unico Stato che può permettersi il lusso di allentare la politica economica, la Cina offra un potenziale di diversificazione. In compenso, abbiamo ridotto le nostre esposizioni al credito Investment Grade3 e al segmento High Yield4 americano, poiché il mercato del credito sarà il più sensibile al calo della liquidità a livello mondiale.
1 Indicatore di volatilità del mercato finanziario statunitense.
2 Sale and Repurchase Agreement: transazione in cui le parti si accordano contemporaneamente su due operazioni, ossia una vendita di titoli a pronti seguita da un riacquisto a termine a una data e un prezzo convenuti in anticipo.
3 I titoli “Investment Grade” indicano titoli obbligazionari emessi da società il cui rischio di insolvenza varia da molto basso (rimborso quasi certo) a moderato. Corrispondono a una scala di rating che va da AAA a BBB- (assegnati da Standard & Poor’s).
4 I titoli “High Yield” sono obbligazioni di società che presentano un rischio di insolvenza maggiore rispetto alle obbligazioni Investment Grade (categoria investimento), ma in cambio offrono cedole più elevate.